Sandro Sanna “Luce formante” (P. Ferri)

(In “Flash Art” –  1990)

Sandro Sanna è partecipe di una cultura di segno forte della rarefazione dell’immateriale nell’accezione della riacquisizione del senso e non della sua perdita ineluttabile, quella che agisce nel vuoto appiattito e siderale dell’universo telematico. In virtù di quella linea indicata da Deleuze che passa attraverso la piega e che al di là dei suoi limiti storici riunisce architetti, pittori, musicisti, poeti e filosofi, il barocco è assunto come modalità della visione basata sul valore catartico e fondante della luce, che secondo questo concetto proviene da uno spiraglio, da una esigua apertura nascosta e ripiegata come afferma Leibniz nella Profession de foi philosophie: “La luce scivola come attraverso una fenditura in mezzo alle tenebre.”

Una luce che custodisce il carattere problematico della conoscenza e della figura che si svela, elemento che in tutta la sua presenza mitica riflette l’ombra dell’esistenza umana, della sofferenza dello sguardo di fronte al reale. La labirintica molteplicità dell’opera si definisce come evento ripiegato su se stesso, con un fondo scurissimo e una piccola parte illuminata, che viaggia su una direttrice che fa propria la monumentalità della riflessione progettuale nell’arte, un pensiero che svela l’opera come spazio assoluto determinando la visione oltre il limite percettivo del contingente e luogo etico, dell’agire e qualificazione di se stesso. Un percorso dove viene sottolineata la necessità prioritaria dell’autonomia linguistica dell’arte, tramite cui è concesso entrare nei luoghi manifesti del transito del pensiero nell’ambito della rivelazione figurale.

La pittura di Sanna passa dall’occultamento di ogni visibile referenzialità a un cambiamento radicale di prospettiva, nel dispiego sontuoso di un racconto affidato al formarsi di un’immagine convocata in tutta la sua potenza visiva, secondo uno sguardo che vede nei ripiegamenti della materia e indaga nelle pieghe dell’anima.

Dallo spaesamento percettivo, come un movimento sottile di destrutturazione, il progressivo riassestarsi dell’immagine che apre a un interagire drammatico e fluido di fondali e sipari scenografici e barocchi, cavità morbide e accoglienti, nell’eccesso dei contrasti del tessuto visivo e luminoso, screziature infiammate e variegate dall’opacità pesante dei bianchi e neri come in una stoffa divisa e scomposta in movimenti curvilinei. Esponendosi paradossalmente al rischio del proprio annullamento, l’immagine pone in evidenza i materiali astratti che riverberano la luce, la costituiscono e la scrivono nella continuità dinamica dell’atto ontologico che vi è sotteso.

L’approdo a uno spazio conflittuale, dove alla rarefazione della luce corrisponde una dimensione buia, oscura e violenta dell’immagine, non è mai rigida contrapposizione del versante del buio a quello del luminoso, quanto percezione di un tempo a sua volta contenente uno spazio. Per questo fine l’artista mette in atto la vicenda della luce nello spazio simbolico della superficie perché si generi una dimensione visiva in grado di indicare l’assenza mentale e spirituale di ciascuna opera. Un’opera dove coesiste il rigore progettuale nella devianza a un codice d’inflessibilità e la presenza aurale della luce, i cui vettori poetici sostanziano la fondazione di uno spazio che ha il valore di messaggio poetico delle figure che seguono.

 

 

                                                                       Patrizia Ferri

                                                                                              Flash Art