Sentiero delle lame d’oro (L. Canova)
(In Sandro Sanna “Metallica” – catalogo Cam Editrice, Roma 2003)
Le opere di Sandro Sanna incantano i loro spettatori con immagini dove il tema del riflesso e del rispecchiamento è portato al massimo delle sue possibilità illusionistiche, lavori dove la luce si trasforma nel medium implacabile di un inganno perpetrato ai danni del nostro sguardo.
Nella nuova serie di Metallica, Sanna ha così operato una totale scomposizione del dato visivo, proponendo una sorta di universo parallelo dove le coordinate spaziali appaiono come stravolte e alterate dall’architettura inafferrabile di nuovi modelli matematici che informano tutta la realizzazione dei dipinti.
Appare comunque evidente come le opere precedenti di Sanna (pur fondate sulle idee germinali di una tendenza all’illusionismo estremo) fossero comunque concepite su una struttura in parte ancora tradizionale, anche se costruita come una finestra aperta sulle forme di una realtà diversa e spiazzante.
Tuttavia, in questi lavori, Sanna si è spinto ancora più lontano, portando alle estreme conseguenze il suo lungo discorso pittorico e ricodificando la stessa costruzione dell’oggetto-quadro, in dipinti costruiti come installazioni dove l’ordine tradizionale appare spezzato e stravolto da una nuova formulazione, da una sintassi in cui la geometria sembra sottoposta ai codici ferrei di una misteriosa volontà poetica, ai canoni rigorosi di un’armonia sconosciuta.
I precedenti cicli di Sanna come Bisanzio, i Geodi, le Derive, lo Specchio dei Pianeti e il Vento di polline, sembrano essere stati così inglobati in una sintesi essenziale dove tutto appare mosso da una poetica nuova, da un senso insieme crudele e lirico della costruzione delle immagini, che sembrano nate seguendo l’armonia notturna di un canto barbaro e tenebroso, il ritmo di versi stesi per accompagnare il caos ordinato di una lontana cosmogonia.
Ma la volontà dell’artista non è solo quella di dare vita alle parvenze ineccepibili di un mondo alternativo, o di creare i fondamenti di nuove regole percettive: forse Sanna cerca di essere il timoniere che attraverso il buio conduce i suoi spettatori in edifici assurdi e magnifici, all’interno di lucenti palazzi eretti in territori pericolosi e irreali, in luoghi splendidi e governati da leggi impietose.
Le luci dell’artista appaiono così trasformate da una mutazione sfuggente, da una metamorfosi inafferrabile che sembra avere amplificato la loro essenza e arricchito la loro struttura di una nota cupa e allusiva, di una risonanza più grave che dilata il loro suono e la loro eco nella distesa oscura di mari notturni attraversati da bagliori e scintille.
Lo spettatore, come un viandante straniero in una terra lontana, si troverà così rinchiuso in corridoi corruschi e in sale splendenti, condannato a vagare in un labirinto concepito su trabocchetti prospettici, in un meandro crudele costruito per lo smarrimento del viaggiatore ignaro e dell’incauto osservatore, convinti con l’inganno ad attraversare quel confine ignoto e rischioso.
Un soffio gelido di premonizione, un respiro freddo di acciaio e di pietra, attraversano questi spazi primigeni e artificiosi, percorsi da una tentazione ad incantare con le suggestioni dello splendore visivo per poi sedurre con le armi gentili e affilatissime dell’illusione.
Sanna ha costruito così una raffinata e rigorosa installazione, concepita come il meccanismo perfetto di una trappola incombente, un bosco d’oro e di fuoco attraversato da un sentiero di lame affilate, un percorso tagliente e inesorabile con il quale lo spettatore è condotto verso il suo inevitabile destino di perdizione o di salvezza.