Sanna o della Maieutica (M. Calvesi)
(In Sandro Sanna “Metallica” – catalogo Cam Editrice, Roma 2003)
Sedotto da alcuni titoli delle opere di Sanna, gli chiedo quale ne sia l’origine e il significato: Lo specchio dei pianeti a uno a uno,
o L’inno notturno della roccia, o perché Rock in inglese.
Non si mostra reticente davanti a queste domande “indiscrete”,intorno a cui altri artisti imbastirebbero acrobazie di parole evasive.
La fonte dei titoli è infatti nella poesia e la fede, quando è autentica, chiede di essere esposta: Sanna infatti crede nella poesia come nel punto di osservazione del mondo, più sgombro di nubi, e sismografo il più fedele del suo mistero.
The Rock è il titolo della sezione di un libro di Wallace Stevens,
che contiene proprio anche i versi citati, in una poesia che
comincia con questa inquietante terzina:
“La roccia è il grigio particolare di una vita d’uomo
La pietra da cui sorge, sempre su,
Gradino ai più tetri fondi cui discende.”
E continua: “La roccia è abitazione del tutto, /Sua forza e
misura…”
C’è qui un poco, in effetti, la notte e il bisogno di luce dei
dipinti di Sanna, della serie appunto dei geodi e delle pietre, serie
culminata in quel motivo esplicito della Cosmogonia, come il
pittore ha chiamato (ripetendolo poi in versione ridotta) un suo immenso dipinto: composto di parti aggregate proprio come strati
di rocce, nella pericolante sospensione di un moto rotatorio che
evoca quel principio, di rotazione appunto, su cui si basa
l’equilibrio dell’universo. Esso è il teatro del nostro stupore,
l’immagine senza approdo certo del nostro esserci e divenire, lo
svolgersi silenzioso di una vicenda degli spazi da cui possiamo
anche assentarci, nel trastullo delle nostre occupazioni, ma che
con trasalimenti improvvisi ci richiama sempre allo stesso punto
di domanda; e ci inchioda alla vanità del nostro procedere. Quello stesso punto di domanda è continuamente latente, del resto, in ogni incertezza
delle nostre percezioni, specie quando esse si incontrano, magari in una notte stellata, con la “smisurata” vastità del cielo. Vengono allora meno, proprio, le nostre “misure”, i nostri metri e solidi punti di riferimento.
L’opera di Sanna ci richiama a questa conturbante incertezza, di misure artatamente ma simbolicamente contraffatte, con l’ingresso di piani inclinati che alludono a gremite ma inesistenti profondità, con i bagliori di luce che rompono violentemente la notte ma non disperdono l’enigma.
La nuova serie di opere (Metallica è il titolo di questa mostra) rimuove le più rudi spigolosità della roccia, per articolare in un gioco verticalistico di sporgenze e rientranze superfici dove spiove una luce meno dura. La nuova delicatezza, i profili longilinei ed eleganti non tacitano però l’allarme delle forme, percettivamente subdole non solo, ma non più coese in un ammasso, bensì ciascuna staccata nel proprio precario equilibrio, in una pendenza che potrebbe trasferirsi in pensieri di angosciose irresolutezze.
Gli incontri dei piani diventano in qualche caso, malgrado la metallica tensione delle superfici, più simili a inaffidabili castelli di carte che minacciano rovina, mentre il raffinato motivo dei riflessi sfrangia gli spigoli in accenni di raffinata leggerezza ma al tempo stesso inghiotte il già sibillino assetto plastico delle forme in una liquida profondità ancor più ambigua, che accentua l’effetto di una sospensione sul vuoto e può tramutare la leggerezza in incombenza.
Che siano, i riflessi, realmente prodotti da lastre specchianti o simulati dal pennello, questo rientra nel gioco di scambi tra apparenza e realtà che Sanna conduce con la perizia di un maestro e la maieutica di un filosofo, che ci porti a scoprire le lacune dei nostri orizzonti.
Maurizio Calvesi